TERRACOTTE FIGURATE
L'uso dell'argilla per modellare idoli e statuette è
documentato fin da età preistorica.
L'affermazione e la diffusione di quest'arte (coroplastica)
- che nell'antichità fu sempre ritenuta inferiore alla
scultura in marmo e in bronzo - si ebbe soltanto in età
greca quando sorsero un'infinità di officine specializzate
che produssero e diffusero dovunque i loro prodotti. Le terracotte,
riproducenti animali, figure umane o divinità, servirono
come ornamento della casa, come ex-voto o anche come giocattoli.
Le più antiche figurine fittili furono plasmate a mano
su un nucleo di argilla pieno e i dettagli incisi con una stecca
o resi per mezzo di fettucce d'argilla aggiunte a parte. Ben
presto subentrò la tecnica della produzione a stampo
o a matrice che permise un'ampia produzione in serie. La matrice
era ottenuta per mezzo di un calco tratto da un originale prodotto
interamente a mano; si facevano aderire alla superficie del
modello strati successivi e sempre più spessi di argilla
umida che, asciugandosi e restringendosi, si staccavano poi,
con estrema facilità, dal modello; il risultato era una
forma cava, che recava impressa in negativo l'impronta esatta
del modello. Le matrici erano generalmente fabbricate con argilla
refrattaria cioé, con un tipo di argilla le cui componenti
mineralogiche permettevano di cuocerla ad una temperatura superiore
a quella che in genere veniva usata per le statuette; questo
accorgimento ne consentiva un uso prolungato. Più tardi,
in epoca ellenistica e romana, le matrici furono prodotte in
gesso.
Il processo di fabbricazione delle terracotte si articolava
in quattro fasi: 1) Preparazione dell'argilla; 2) modellazione;
3) essicazione e cottura; 4) Ingobbio e pittura.
1) L'argilla era lavata e decantata (argilla figulina) e ad
essa venivano aggiunti elementi degrassanti (sabbia, mica, tritume
lavico o di terracotta) che rendendola più compatta,
permettevano di ridurre al minimo il rischio di fessurazioni
e rotture causate dalla forte contrazione che avrebbe subito
nelle fase di cottura;
2) Si pressava una certa quantità di argilla all'interno
della matrice, ottenendo così il positivo della statuetta
che veniva rifinita manualmente con la stecca; spesso la matrice
era una sola e riproduceva soltanto la parte anteriore della
figura, mentre la parte posteriore - quando, come nelle mascherette,
non si lasciava aperta - era formata da una sfoglia di argilla,
appena lisciata. Si creava così una statuina a tutto
tondo, internamente cava, poggiata su una basetta rettangolare
o rotonda o in molti casi aperta inferiormente. Un foro sfiatatoio,
spesso praticato sul dorso evitava il pericolo di rotture durante
la cottura. Nel caso in cui le statuette erano di una certa
grandezza, si plasmava prima il corpo e ad esso venivano aggiunti
la testa e gli arti ottenuti a parte con altre matrici.
3) Una volta esiccata, la statuetta veniva posta nella fornace,
che si suppone raggiungesse una temperatura compresa tra i 750°
e i 950°.
4) Dopo la cottura, veniva steso, a pennello, un sottile strato
di argilla diliuita (ingobbio) che serviva a nascondere eventuali
imperfezioni (fessurazioni e bolle di cottura) e contemporaneamente
faceva da supporto per il colore. Necessario complemento delle
statuette era infatti la coloritura. Rarissimi sono i casi di
statuette che conservino ancora i colori originari, molto spesso
le componenti chimiche del terreno hanno corroso la "vernice"
per cui non possiamo cogliere, se non con l'immaginazione, l'effetto
del prodotto finito. I colori più usati erano il rosso
e il celeste per le vesti, il bruno e il bianco per rendere
rispettivamente la carnagione maschile e femminile. Ma non erano
rari il verde, il blu e il giallo.
Le terracotte figurate, che molto spesso erano votate nei santuari,
sono utilissime in campo archeologico sotto vari aspetti. La
presenza di alcuni tipi raffiguranti divinità o offerenti
è molto spesso fondamentale per l'individuazione dei
culti praticati in una data zona o per l'identificazione di
templi e santuari. Il fatto poi che esse riproducessero molto
di frequente i tipi della statuaria contemporanea le rende importantissime
per lo studio dello sviluppo stilistico ed iconografico.
In Sicilia, oltre ai tipi "indigeni" esemplati sulla
produzione greca arcaica, sono diffusissimi gli esemplari greci
d'importazione o di produzione coloniale. Dai più antichi
tipi di stile c.d. dedalico (VII sec.a.C.), si passa alle mascherette
raffiguranti il volto di Demetra, alle statuette femminili di
divinità sedute in trono, alle offerenti rappresentate
in piedi nell'atto di portare doni (colombe, porcellini etc.)
alle divinità. Tipi che, diffusi per tutto il VI e il
V sec. a. C. derivano il loro stile dalle correnti artistiche
della madrepatria: la peloponnesiaca, la ionica e l'attica.
L'accuratezza del modellato raggiunge ovviamente il massimo
in epoca classica. Dal IV secolo al I sec. a. C. sono diffusissime
le statuette di "Tanagrine", cosiddétte dalla
città di Tanagra in Beozia dove furono scoperte per la
prima volta. Rappresentano delicate e aggraziate fanciulle,
in molti casi danzatrici, coperte da una veste (chitone) di
colore azzurro o rosa e da un mantello (himation) chiuso, generalmente
bianco; le chiome, rosse o dorate, sono raccolte in acconciature
particolarmente elaborate e spesso coperte da copricapo di fogge
originalissime. Il modellato è meno raffinato che non
nell'epoca classica, i visi hanno tratti minuti ma pieni di
espressione, le pieghe dei panneggi più intricate, i
colori più tenui e delicati. Forse perché rappresentate
in atteggiamenti vivi e umani più vicini a noi moderni,
lontane dalla fredda ieraticità che impronta i tipi più
antichi, queste figurine raggiungono un effetto finale gradevolissimo.